IL NUOVO SISTEMA PREVIDENZIALE: DAL RETRIBUTIVO AL CONTRIBUTIVO

Dopo la riforma Amato del 92’, si osservò come i mutamenti auspicati non sarebbero stati sufficienti al fine di garantire la sostenibilità economica dell’intero sistema previdenziale.

Vi era la necessità di una riforma in grado di intervenire ancora più drasticamente sui meccanismi e sulla struttura del comparto previdenziale rispetto a quella di Amato a causa sia di uno squilibrio tra contributi e prestazioni al pari del continuo cambiamento dello scenario demografico.

Nell’agosto del 1995 venne approvata la riforma Dini n. 335/1995 basata su taluni principi:

  • Pensionamento flessibile in un età compresa tra i 57 e 65 anni di età sia per gli uomini che per le donne;
  • Pensioni calcolate sull’ammontare dei versamenti effettuati durante tutta la vita lavorativa.

La riforma Dini prese atto del passaggio dall’Italia industriale all’Italia dei servizi e del lavoro professionale liberando i requisiti minimi temporali, al fine di consentire pensioni con un minimo di 5 anni di contribuzione, ma stabilendo criteri di equità finanziaria tra contributi e prestazioni.

DAL SISTEMA RETRIBUTIVO AL CONTRIBUTIVO

La  novità più importate apportata dalla nuova riforma previdenziale L. 335/1995, è stata l’introduzione nel sistema previdenziale italiano di un nuovo meccanismo di calcolo delle pensioni.

Per poter assicurare la sostenibilità della spesa pensionistica e riequilibrare i rapporti tra generazioni (poiché il sistema retributivo era squilibrato a favore degli anziani), si avviarono dei nuovi criteri diretti ad assicurare maggiore equità finanziaria tra contributi versati e prestazioni riscosse.

Con tale la riforma, difatti, è stato introdotto un metodo di calcolo della pensione basato su un sistema di tipo contributivo, ovvero sul totale dei contributi effettivamente versati dal lavoratore, rivalutati nel corso del tempo, nel corso della propria vita lavorativa.

Il nuovo orientamento non è stato repentino ed improvviso ma studiato in modo graduale negli anni.

Sostanzialmente, i lavoratori che passarono al nuovo sistema furono coloro che alla fine del 1995 non avessero maturato ancora 18 anni di versamenti e chi avesse iniziato a lavorare dal 1 Gennaio 1996.

LA FLESSIBILITÀ’ DELL’ETA’ PENSIONABILE

Il nuovo patto intergenerazionale produsse rilevanti modifiche anche in merito all’età pensionabile, resa più flessibile e circoscritta, tanto per gli uomini quanto per le donne, in una fascia tra i 57 e i 65 anni.

A 65 anni era così possibile ottenere la pensione piena mentre, in altri casi, l’assegno era commisurato all’età e agli anni di contribuzione versati.

La riforma del nuovo sistema previdenziale modificò anche il requisito degli anni minimi di contribuzione obbligatori per maturare il diritto alla pensione.

A partire dal 1996 , venne resa obbligatoria, con la nascita della Gestione separata dell’Inps, la contribuzione previdenziale anche per i lavoratori professionisti e co.co.pro. non prevista fino ad allora.

Inoltre, la minima contribuzione necessaria per ottenere la pensione venne resa variabile , collegandola al sistema contributivo di appartenenza di ogni singolo lavoratore.

ANALISI SUL NUOVO SISTEMA PREVIDENZIALE

Il nuovo sistema previdenziale basato sul passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo, rappresentò la fine di un’epoca per tutti gli italiani.

Determinate con il sistema contributivo, le pensioni vennero condannate a essere meno generose di quelle del passato.

Si rendeva così necessario un cambiamento culturale nei confronti del sistema pensionistico, in quanto per ottenere una pensione equivalente a quella ante-riforma Dini, era necessario lavorare più a lungo o accumulare più risparmio.

Alla luce del nuovo sistema previdenziale si rendeva necessario, per le nuove generazioni, far ricorso ad un sistema integrativo per poter colmare tale gap: la Previdenza Integrativa.

Vedi anche:

I TRE PILASTRI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE

IL SISTEMA PENSIONISTICO E LE SUE CRITICITÀ’

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